LE RISPOSTE UFFICIALI DELLE FINANZE

NORME E TRIBUTI Il Sole 24 Ore lunedì 31 GENNAIO 2022
le risposte del dipartimento delle Finanze del Mef in occasione di Telefisco 2022

Imu
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Imu doppie abitazioni: scelta e anni pregressi
La legge 215/2021, di conversione del Dl 146/2021, ha risolto la questione delle
doppie abitazioni dei coniugi residenti in Comuni diversi consentendo di scegliere
l’immobile al quale applicare l’esonero dall’Imu. Poiché dalla norma non si evince
con quali modalità i “componenti del nucleo familiare” dovranno effettuare la
scelta, si chiede di chiarire se è necessario presentare l’apposita dichiarazione
oppure se può ritenersi sufficiente una semplice comunicazione, e in quale maniera
risolvere l’eventuale caso di dissidenza tra i componenti del nucleo familiare.
Inoltre, non avendo la disposizione efficacia retroattiva, si chiede se i Comuni
possono accertare le annualità pregresse senza applicare le sanzioni per obiettiva
incertezza della norma tributaria (articolo 10, legge 212/2000), configurabile anche
nel caso in cui l’amministrazione finanziaria abbia chiarito i dubbi con una
circolare ministeriale (Cassazione 10126/2019).
Giova ricordare che l’articolo 5-decies, comma 1, del Dl 146/2021, convertito, con
modificazioni, dalla legge 215/2021 , prevede che «All’articolo 1, comma 741,
lettera b), della legge 27 dicembre 2019, n. 160, al secondo periodo, dopo le parole:
«situati nel territorio comunale» sono inserite le seguenti: «o in comuni diversi» e
sono aggiunte, in fine, le seguenti parole: «, scelto dai componenti del nucleo
familiare».
Di conseguenza, per effetto di tale intervento normativo, per abitazione principale
si intende l’immobile, iscritto o iscrivibile nel catasto edilizio urbano come unica
unità immobiliare, nel quale il possessore e i componenti del suo nucleo familiare
dimorano abitualmente e risiedono anagraficamente. Nel caso in cui i componenti
del nucleo familiare abbiano stabilito la dimora abituale e la residenza anagrafica in
immobili diversi situati nel territorio comunale o in Comuni diversi, le agevolazioni
per l’abitazione principale e per le relative pertinenze in relazione al nucleo
familiare si applicano per un solo immobile, scelto dai componenti del nucleo
familiare.
In merito all’individuazione dell’immobile scelto dai componenti del nucleo
familiare ai fini dell’esenzione dall’Imu, si ritiene che per lo stesso gravi in capo al
soggetto passivo l’obbligo di presentazione della dichiarazione Imu, come del resto
già puntualizzato nelle istruzioni alla dichiarazione Imu di cui al Dm 30 ottobre
2012 nella parte relativa al focus «Abitazione principale» di pagina 5 delle citate
istruzioni, in cui è possibile rinvenire indicazioni che possono ritenersi valide anche
per la fattispecie in esame.
Occorre evidenziare, infatti, che in siffatta ipotesi la permanenza dell’obbligo
dichiarativo in argomento si fonda sul presupposto che il Comune non è comunque
in possesso delle informazioni necessarie per verificare il corretto adempimento
dell’obbligazione tributaria.
Nello specifico per la compilazione del modello dichiarativo il contribuente deve
barrare il campo 15 relativo alla “Esenzione” e riportare nello spazio dedicato alle
“Annotazioni” la seguente frase: «Abitazione principale scelta dal nucleo familiare
ex articolo 1, comma 741, lettera b), della legge n. 160 del 2019».
In ordine poi alla richiesta circa la maniera di risolvere l’eventuale caso di
dissidenza tra i componenti del nucleo familiare, non può che rimandarsi alle
decisioni del Comune in quanto soggetto attivo del tributo.
Per quanto riguarda la richiesta relativa alla possibilità di accertamento delle
annualità pregresse senza applicazione «delle sanzioni per obiettiva incertezza della
norma tributaria (articolo 10 legge 212/2000), configurabile anche nel caso in cui
l’amministrazione finanziaria abbia chiarito i dubbi con una circolare ministeriale
(Cassazione n. 10126/2019)», si ritiene che la stessa possa essere accolta
positivamente alla luce delle seguenti considerazioni.
Innanzitutto dal punto di vista normativo, l’articolo 10, comma 3, della legge
212/2000 chiarisce che: «Le sanzioni non sono comunque irrogate quando la
violazione dipende da obiettive condizioni di incertezza sulla portata e sull’ambito
di applicazione della norma […]».
Sulla portata di tale disposizione si è espressa anche la Corte di cassazione con la
sentenza n. 10126 dell’11 aprile 2019, in cui ribadisce che: «In tema di sanzioni
amministrative per violazione di norme tributarie, la Corte ha già avuto modo di
affermare il principio di diritto in virtù del quale: «l’incertezza normativa oggettiva
che – ai sensi del Dlgs 546/1992, articolo 8; del Dlgs 472/1997, articolo 6, comma
2; della legge 212/2000, articolo 10, comma 3 – costituisce causa di esenzione del
contribuente dalla responsabilità amministrativa tributaria, richiede una condizione
di inevitabile incertezza sul contenuto, sull’oggetto e sui destinatari della norma
tributaria, ovverosia l’insicurezza ed equivocità del risultato conseguito attraverso il
procedimento d’interpretazione normativa, riferibile non già ad un generico
contribuente, o a quei contribuenti che per la loro perizia professionale siano capaci
di interpretazione normativa qualificata (studiosi, professionisti legali, operatori
giuridici di elevato livello professionale), e tanto meno all’Ufficio finanziario, ma
al giudice, unico soggetto dell’ordinamento cui è attribuito il potere-dovere di
accertare la ragionevolezza di una determinata interpretazione (cfr. Cass.
28/11/2007, n. 24670; 16/02/2012, n. 2192; 26/10/2012, n. 18434; 11/02/2013, n.
3245; 22/02/2013, n. 4522)».
Per meglio chiarire tale principio, la medesima Corte puntualizza che: «In altre
parole, come è stato detto, “l’incertezza normativa oggettiva tributaria”, che
consente di non applicare le sanzioni, «è la situazione giuridica oggettiva, che si
crea nella normazione per effetto dell’azione di tutti i formanti del diritto, tra cui in
primo luogo, ma non esclusivamente, la produzione normativa, e che è
caratterizzata dall’impossibilità, esistente in sè ed accertala dal giudice,
d’individuare con sicurezza ed univocamente, al termine di un procedimento
interpretativo metodicamente corretto, la norma giuridica sotto la quale effettuare la
sussunzione di un caso di specie ultima o, se si tratta del giudice di legittimità, del
fatto di genere già categorizzato dal giudice di merito», quindi in “senso oggettivo”
(con conseguente esclusione di «qualsiasi rilevanza sia delle condizioni soggettive
individuali sia delle condizioni soggettive categoriali» atteso che «l’incertezza
normativa, in quanto esiste in sè, opera nei confronti di tutti”): “l’incertezza
normativa oggettiva”, pertanto, «non ha il suo fondamento nell’ignoranza
giustificata, ma nell’impossibilità, abbandonato lo stato d’ignoranza, di pervenire
comunque allo stato di conoscenza sicura della norma giuridica tributaria»
(Cassazione 19638/2009).
E ciò è quanto avvenuto con la disposizione in esame, la quale nel corso degli anni
ha subito diverse interpretazioni proprio a opera della Suprema corte, che hanno
portato anche a decisioni di contenuto diametralmente opposto, a dimostrazione
della “incertezza normativa oggettiva”, nell’accezione richiesta dalla medesima
Corte, vale dire «una condizione di inevitabile incertezza sul contenuto,
sull’oggetto e sui destinatari della norma tributaria, ovverosia l’insicurezza ed
equivocità del risultato conseguito attraverso il procedimento d’interpretazione
normativa».

2
Esenzioni Covid-19: ditta e bene fuori dal libro cespiti
Le esenzioni Imu, disposte dal legislatore per contenere i disagi generati dai
provvedimenti governativi finalizzati a contrastare i contagi da Covid-19, sono
applicate agli immobili rientranti nella categoria catastale D/2 e relative pertinenze,
a quelli degli agriturismi, dei villaggi turistici, degli ostelli della gioventù, dei rifugi
di montagna, delle colonie marine e montane, degli affittacamere per brevi
soggiorni, delle case e appartamenti per vacanze, dei bed and breakfast, dei
residence e dei campeggi, purché il soggetto passivo sia gestore dei medesimi e vi
eserciti la propria attività. Si chiede se in caso di immobile utilizzato per l’attività
di una ditta individuale, l’agevolazione spetti anche se il fabbricato non è iscritto al
libro cespiti della ditta medesima.
Il regime delle esenzioni dall’Imu disposte per far fronte all’emergenza
epidemiologica da Covid-19 richiede unicamente, per poter fruire delle stesse, il
rispetto della condizione per cui i soggetti passivi siano anche gestori delle attività
esercitate negli immobili per i quali si chiede il beneficio.
Di conseguenza, si ritiene che nel caso in esame possa essere riconosciuta
l’agevolazione, dal momento che l’iscrizione del fabbricato nel libro cespiti della
ditta non è un requisito richiesto dai vari provvedimenti normativi e, quindi, non è
rilevante ai fini agevolativi.

Tari
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Tariffe in caso di mancata pubblicazione nei termini
In base al Dl 201/2011, articolo 15-ter, a decorrere dall’anno di imposta 2020, le
delibere e i regolamenti concernenti i tributi comunali diversi dall’imposta di
soggiorno, dall’addizionale comunale all’imposta sul reddito delle persone fisiche
(Irpef), dall’imposta municipale propria (Imu) e dal tributo per i servizi indivisibili
(Tasi) acquistano efficacia dalla data della pubblicazione effettuata ai sensi del
comma 15, a condizione che detta pubblicazione avvenga entro il 28 ottobre
dell’anno a cui la delibera o il regolamento si riferisce; a tal fine, il Comune è
tenuto a effettuare l’invio telematico di cui al comma 15 entro il termine perentorio
del 14 ottobre dello stesso anno. I versamenti dei tributi diversi dall’imposta di
soggiorno, dall’addizionale comunale all’Irpef, dall’Imu e dalla Tasi la cui
scadenza è fissata dal Comune prima del 1° dicembre di ciascun anno devono
essere effettuati sulla base degli atti applicabili per l’anno precedente. I versamenti
dei medesimi tributi la cui scadenza è fissata dal comune in data successiva al 1°
dicembre di ciascun anno devono essere effettuati sulla base degli atti pubblicati
entro il 28 ottobre, a saldo dell’imposta dovuta per l’intero anno, con eventuale
conguaglio su quanto già versato. In caso di mancata pubblicazione entro il termine
del 28 ottobre, si applicano gli atti adottati per l’anno precedente.
In caso di pubblicazione delle delibere oltre il termine del 28 ottobre e conseguente
efficacia delle nuove tariffe posta al 1° gennaio dell’anno successivo, quali sono le
tariffe che trovano applicazione nell’anno successivo in sede di acconto con
scadenza posta prima del 1° dicembre?
L’applicazione del comma 169 dell’articolo 1 della legge 296/2006 assume a
riferimento le tariffe applicate nell’anno precedente o quelle ad efficacia differita
all’anno successivo a causa della tardiva pubblicazione?
In caso di pubblicazione delle tariffe della Tari oltre il termine 28 ottobre dell’anno
cui le stesse si riferiscono, le tariffe medesime non devono essere prese in
considerazione ai fini del versamento delle rate relative al tributo dovuto per l’anno
successivo la cui scadenza è fissata prima del 1° dicembre. Tali tariffe pubblicate
tardivamente sono infatti applicabili nell’anno successivo – in sede di versamento a
conguaglio per le rate successive al 1° dicembre – solo ove non intervenga, entro il
28 ottobre dello stesso anno, la pubblicazione di una diversa delibera adottata nei
termini di cui all’articolo 1, comma 169, della legge 296/2006. Le rate di acconto
dell’anno successivo a quello cui si riferiva la delibera pubblicata tardivamente
devono, invece, essere versate sulla base delle tariffe applicabili nel medesimo anno
cui si riferiva la delibera pubblicata tardivamente, vale a dire quelle adottate per
l’anno precedente. Se, ad esempio, la delibera relativa all’anno 2021 viene
pubblicata oltre il 28 ottobre 2021, le rate di acconto per l’anno 2022 devono essere
versate sulla base delle tariffe applicabili nell’anno 2021, vale a dire quelle adottate
per l’anno 2020. Tale soluzione, oltre ad essere aderente al disposto del secondo
periodo del comma 15-ter dell’articolo 13 del Dl 201/2011, è tanto più fondata se si
considera che le tariffe pubblicate tardivamente sono destinate con ogni probabilità
– data la natura del tributo in questione, tramite il quale deve essere assicurata la
copertura dei costi del servizio di raccolta e smaltimento dei rifiuti riferibili a
ciascun anno – ad essere superate da una nuova delibera adottata per l’anno
successivo.
Se nell’anno successivo a quello cui si riferiva la delibera di determinazione delle
tariffe della Tari pubblicata tardivamente non viene adottata alcuna delibera o viene
adottata una delibera oltre il termine di approvazione del bilancio di previsione, con
conseguente inapplicabilità della stessa in virtù dell’articolo 1, comma 169, della
legge 296/2006, le tariffe applicabili sono quelle di cui alla delibera adottata per
l’anno precedente e pubblicata tardivamente. Se, ad esempio, la delibera relativa
all’anno 2021 viene pubblicata oltre il 28 ottobre 2021 e la delibera per l’anno 2022
non viene approvata o viene approvata ma oltre il termine di approvazione del
bilancio, le tariffe applicabili per l’anno 2022 sono quelle di cui alla delibera
adottata per l’anno 2021 e pubblicata tardivamente.

Canone unico
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Pubbliche affissioni, sì al diritto d’urgenza
Il canone unico patrimoniale prevede che l’importo da richiedere all’utente sia
comprensivo di tutti gli oneri relativi all’autorizzazione/concessione rilasciata o,
comunque al servizio reso dall’ente. In tema di affissioni si chiede se possa essere
ancora richiesta una somma qualificabile come “diritto d’urgenza” o se sia
necessario prevedere uno specifico canone unico, di maggior importo, per le
fattispecie che prima erano assoggettate a tale diritto.
Nel caso in cui il Comune scelga di istituire il servizio sulle pubbliche affissioni, la
cui istituzione non è più obbligatoria a norma dell’articolo 1, comma 836 della
legge 160/2019, lo stesso può senz’altro prevedere un diritto d’urgenza, sulla scorta
del fatto che trattandosi di un canone patrimoniale l’ente locale h a ampia
autonomia regolamentare.

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Cup nei centri abitati: i rapporti Comuni-Province
Il canone unico patrimoniale è stato oggetto di contrasti fra Comuni e Province,
stante la formulazione del comma 818 e del comma 837, che considerano aree
comunali i tratti di strada situati all’interno di centri abitati con popolazione
superiore a 10.000 abitanti, di cui all’articolo 2, comma 7, del Codice della strada,
Dlgs 285/1992; secondo gli enti provinciali, quindi, il canone unico sarebbe di loro
competenza anche nei Comuni con popolazione superiore a 10.000 abitanti, se il
centro abitato ha una popolazione che non supera tale valore. Tale interpretazione,
pur sostenuta dal Mef in occasione di uno specifico quesito posto dal Comune di
Montepulciano, si pone in contrasto con quanto affermato nel corso di
Telefisco2021.
Come affermato nei chiarimenti forniti al Comune di Montepulciano, relativamente
a entrambi i canoni, vale a dire quello di cui all’articolo 1, comma 816 della legge
160/2019, e l’altro di cui al successivo comma 837, risulta che i tratti di strada che
attraversano centri abitati con popolazione superiore a 10.000 abitanti sono
considerati comunali, mentre quelli che attraversano centri abitati con popolazione
non superiore a 10.000 abitanti non possono considerarsi facenti parte del territorio
comunale.
Ne consegue che, nel caso di diffusione di un messaggio pubblicitario su un tratto
di strada che attraversa un centro abitato con popolazione superiore a 10.000
abitanti, il gettito del canone spetta solamente al Comune in base al comma 819,
lettera b), mentre la provincia non è legittimata a imporre il canone per
l’occupazione del suolo, posto che il tratto di strada è di competenza comunale,
fermo restando che in caso di diffusione di messaggio pubblicitario resta esclusa la
possibilità di richiedere il canone per la fattispecie di occupazione.
Nel caso inverso, vale a dire di diffusione di un messaggio pubblicitario su un tratto
di strada che attraversa un centro abitato con popolazione non superiore a 10.000
abitanti, e quindi di competenza della provincia, quest’ultimo ente è legittimato a
chiedere il versamento del canone per l’occupazione del suolo, a norma del comma
819, lettera a).
In ordine, infine, alla contraddizione rispetto a quanto affermato in Telefisco 2021,
si fa presente che la risposta al quesito di Montepulciano così come quella odierna
costituiscono una migliore e più chiara contestualizzazione dei casi che sono stati
meglio descritti nei quesiti collegati a tali risposte.

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Occupazione e servizi in rete
L’articolo 5, comma 14-quinquies, del Dl 146/2021, reca disposizioni interpretative
del comma 831 della legge 160/2019. In particolare, alla lettera a), si chiarisce che
le società titolari dei contratti di vendita del bene distribuito alla clientela finale non
possono considerarsi soggetti che occupano, neanche in via mediata, e per tale
motivo non sono tenute al pagamento del canone unico. Il canone sarebbe quindi
dovuto dai soggetti che risultano concessionari delle infrastrutture e la
quantificazione del canone deve essere effettuata «in base alle utenze delle predette
società di vendita», le quali, quindi, sarebbero tenute a comunicare al
concessionario il numero delle utenze.
La successiva lettera b) considera l’ipotesi di occupazioni di suolo con impianti
funzionali all’erogazione dei servizi, come quelli relativi alla trasmissione di
energia elettrica e il trasporto di gas naturale. In questo caso è dovuto il canone in
misura fissa pari ad euro 800.
Dall’articolato normativo sembra che l’ipotesi a) si verifichi solo nelle ipotesi di
infrastrutture per le quali è prevista la separazione tra la titolarità delle infrastrutture
e la titolarità dei contratti di vendita, mentre l’ipotesi b) si verificherebbe nelle altre
tipologie di occupazioni, come i gasdotti o le reti di trasmissione e dispacciamento
dell’energia elettrica. Si chiede conferma della lettura proposta.
Occorre preliminarmente affermare che il comma 831 dell’articolo 1, della legge
160/2019 riguarda tutte le tipologie di occupazioni effettuate con cavi e condutture
per la fornitura di servizi di pubblica utilità e non solo quelle in cui esiste una
separazione tra i soggetti titolari delle infrastrutture ed i soggetti titolari del
contratto di vendita del bene distribuito alla clientela finale. E invero l’articolo 5,
comma 14-quinquies del Dl 146/2021, ha inteso chiarire che nelle ipotesi in cui
sussiste una netta separazione legislativa, regolamentare o contrattuale tra soggetti
titolari delle infrastrutture e soggetti titolari del contratto di somministrazione del
bene distribuito per il tramite delle infrastrutture stesse, il canone resta dovuto
esclusivamente da parte del soggetto titolare della rete, tenendo conto del numero
delle utenze attivate dagli operatori che svolgono solo l’attività di vendita.
La successiva lettera b), invece, in linea con quanto stabilito ai fini della Tosap e
del Cosap, ha precisato che la disciplina del canone unico è applicabile anche alle
occupazioni effettuate da imprese che svolgono attività strumentali e accessorie
all’erogazione dei servizi a rete (tra le quali la trasmissione di en ergia elettrica ed il
trasporto di gas naturale dal produttore al distributore finale) tenendo conto della
sostanziale “unitarietà” della filiera.
Pertanto, per tali imprese, che non hanno alcun rapporto diretto con l’utente finale,
viene confermata la debenza del canone in misura fissa pari a euro 800, stabilita per
coloro che hanno un numero di utenze inferiore alla soglia.

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Servizi di affissione, così la pubblicazione
Per effetto dell’abrogazione dell’articolo 18 del Dlgs 507/93, ad opera del comma
836 dell’articolo 1 della legge 160/2019, i Comuni possono ritenere completamente
soppresso il servizio di affissione a cura del Comune, oppure occorre l’adozione di
un’espressa deliberazione? È sufficiente garantire l’affissione diretta da parte degli
interessati delle affissioni cosiddette garantite?
Il Comune, a norma dell’articolo 1, comma 836 della legge 160/2019, non ha
l’obbligo di istituire il servizio delle pubbliche affissioni e, pertanto, non occorre
alcuna delibera in tal senso. Se sceglie di non procedere all’istituzione del servizio,
deve rispettare l’obbligo, previsto da leggi o da regolamenti, di affissione da parte
delle pubbliche amministrazioni di manifesti contenenti comunicazioni istituzionali
mediante la pubblicazione nei rispettivi siti internet istituzionali. Deve, inoltre,
garantire l’affissione da parte degli interessati di manifesti contenenti
comunicazioni aventi finalità sociali, comunque prive di rilevanza economica,
mettendo a disposizione un congruo numero di impianti a tal fine destinati.

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La componente pubblicitaria del canone
In ragione dei numerosi contenziosi insorti nel corso del 2021 sulla componente
pubblicitaria del canone unico per la diffusione dei messaggi pubblicitari, si chiede
di conoscere l’orientamento ministeriale in ordine alla natura giuridica della
componente pubblicitaria del canone.
L’articolo 1, comma 816, della legge 160/2019 introduce, in sostituzione di diverse
entrate, un canone patrimoniale di concessione, autorizzazione o esposizione
pubblicitaria. Pertanto, stante la chiara formulazione utilizzata dal legislatore, unita
al fatto che all’interno della normativa che regolamenta il canone in questione non
si rinvengono elementi tali da far considerare diversa la natura giuridica della
fattispecie di diffusione di messaggi pubblicitari, si deve concludere per la natura
patrimoniale di entrambe le componenti del canone.

9
Regole sul versamento decise dai Comuni
In base al comma 823 dell’articolo 1 della legge 160/2019, il canone è dovuto dal
titolare dell’autorizzazione o della concessione, ovvero, in mancanza, dal soggetto
che effettua l’occupazione o la diffusione dei messaggi pubblicitari in maniera
abusiva. In base al comma 835, il versamento del canone è effettuato direttamente
agli enti, contestualmente al rilascio della concessione o dell’autorizzazione
all’occupazione o alla diffusione dei messaggi pubblicitari.
Si chiede se il Comune possa, nell’esercizio della potestà regolamentare,
modificare la previsione del comma 835 rinviando il versamento del canone
successivamente al rilascio del titolo di autorizzazione o concessione.
Considerata la natura patrimoniale del canone, si ritiene che l’ente locale possa
regolamentare la materia della riscossione diversamente rispetto a quanto prescritto
dall’articolo 1, comma 835 della legge 160/2019. Del resto, anche relativamente
alle proprie entrate tributarie l’ente ha ampia autonomia regolamentare in materia
di riscossione.

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Sanzioni per insegne abusive inferiori a 5 mq
Nel caso di insegna di esercizio collocata abusivamente, ma inferiore a 5 mq, quali
sono le sanzioni da applicare in base all’articolo 1, comma 821, della legge
160/2019?
Poiché le insegne di esercizio inferiori a 5 mq sono esenti dal versamento del
canone, in base all’articolo 1, comma 833, lettera l), della legge 160/2019, non è
possibile richiedere il versamento dell’indennità di cui al comma 821, lettera g).
Non può essere parimenti applicata la sanzione amministrativa pecuniaria prevista
dalla successiva lettera h), in quanto anch’essa collegata all’entità del canone e
della citata indennità, ma possono essere applicate le sanzioni di cui agli articoli 20
e 23 del Codice della strada, nonché gli oneri previsti per la rimozione e la
copertura del mezzo pubblicitario abusivo previsti dal successivo comma 822
dell’articolo 1 della legge 160/2019.
Riscossione coattiva

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I solleciti di pagamento e le competenze Ader
Secondo una tesi proveniente da ambienti dell’agenzia delle Entrate-Riscossione
(Ader), in caso di affidamento del servizio di riscossione coattiva all’agente
nazionale, questo non sarebbe tenuto a inviare i solleciti di pagamento previsti dal
comma 795 della legge 160/2019 ma deve provvedere direttamente il Comune. La
tesi si basa su una lettura non condivisibile del comma 795 che individua negli
“enti” i soggetti tenuti ad inviare i solleciti, limitando la portata applicativa agli enti
(Comuni, eccetera) diversi dall’Ader, non considerando peraltro che anche l’Ader è
un ente. Si chiede di voler confermare che la dizione “enti” sia da interpretare in
maniera generalizzata, riferita cioè a tutti i soggetti che svolgono l’attività di
riscossione coattiva, compresa l’Ader.
Occorre considerare che il comma 785 dell’articolo 1 della legge 160/2019 prevede
espressamente che: «In caso di affidamento, da parte degli enti, dell’attività di risco
ssione delle proprie entrate all’agente della riscossione, si applicano esclusivamente
le disposizioni di cui al comma 792».
Pertanto si deve argomentare, sulla base di una lettura testuale delle norme, che il
comma 795, non essendo richiamato dal comma 785, non può essere applicato
all’Ader. Alla medesima conclusione si perviene dall’analisi delle disposizioni di
cui all’articolo 1, commi 792 e 795 della legge 160/2019.
L’articolo 1, comma 792, lettera b) della legge 160/2019 prevede che l’atto di
accertamento esecutivo emesso dagli enti e dai soggetti affidatari di cui all’articolo
52, comma 5, lettera b), del Dlgs 446/1997 acquista efficacia di titolo esecutivo
decorso il termine utile per la proposizione del ricorso ovvero decorsi sessanta
giorni dalla notifica dell’atto finalizzato alla riscossione delle entrate patrimoniali e
che, «decorso il termine di trenta giorni dal termine ultimo per il pagamento, la
riscossione delle somme richieste è affidata in carico al soggetto legittimato alla
riscossione forzata».
Il comma 795 stabilisce che: «Per il recupero di importi fino a 10.000 euro, dopo
che l’atto di cui al comma 792 è divenuto titolo esecutivo, prima di attivare una
procedura esecutiva e cautelare gli enti devono inviare un sollecito di pagamento
con cui si avvisa il debitore che il termine indicato nell’atto è scaduto e che, se non
si provvede al pagamento entro trenta giorni, saranno attivate le procedure cautelari
ed esecutive».
Dalle richiamate disposizioni si evince che il sollecito di pagamento è effettuato
prima dell’attivazione della procedura esecutiva e, quindi, prima che il carico venga
affidato al soggetto che effettua l’esecuzione forzata. Pertanto, anche le richiamate
disposizioni portano a ritenere che il sollecito debba essere effettuato dai soggetti
che emettono l’atto di accertamento .

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Solleciti di pagamento: differenze e modi di invio
Relativamente al comma 795 della legge 160/2019, non è chiaro se per gli importi
fino a 1.000 euro va emesso anche il sollecito previsto per gli importi fino ai 10.000
euro. Si ritiene che il sollecito relativo ai 10.000 euro ben può svolgere le stesse
funzioni previste per il sollecito fino a 1.000 euro, tanto più che il primo deve
essere inviato con modalità tracciabili (raccomandata, Pec, eccetera), diversamente
dal secondo, che può anche essere mandato con posta ordinaria. In sostanza, per i
solleciti da 1.000 fino a 10.000 euro non è prevista alcuna deroga circa le modalità
di invio, per cui il silenzio dovrebbe essere interpretato nel senso che il sollecito va
inviato con modalità tracciabili. Si chiede conferma della lettura proposta.
Il comma 795 prevede espressamente l’invio del sollecito per gli importi fino a
10.000 euro; ciò vale quindi anche per gli importi fino a 1.000.
Per quanto riguarda le modalità di invio del sollecito, il comma 544 dell’articolo 1
della legge 228/2012 in effetti prevede che lo stesso possa essere inviato mediante
posta ordinaria. Ciò però non preclude all’ente impositore, laddove lo ritenga
opportuno e più garantista, optare per altre forme di comunicazione.
Giustizia tributaria

13
Attestazione di conformità della sentenza della Ctr
Come si attesta la conformità della sentenza della Ctr per uso Cassazione? Dal 31
marzo 2021 è operativo in via facoltativa il servizio di trasmissione telematica degli
atti processuali di parte (Pct) presso la Corte di cassazione, con la conseguenza che
ricorso e fascicolo sono depositati telematicamente. L’articolo 369 del Cpc prevede
con il ricorso il deposito della copia autentica della sentenza. Le sentenze della Ctr
estraibili dal Sigit non hanno ancora tutte lo stesso formato (alcune native
analogiche, firmate di pugno e poi rese digitali tramite scansione, altre native
digitali e firmate digitalmente). L’attestazione di conformità del difensore è sempre
la medesima a prescindere che la sentenza sia nativa analogica o nativa digitale?
In alternativa al tradizionale rilascio di copia conforme da parte delle segreterie
delle Commissioni tributarie, l’articolo 25-bis del Dlgs 546/92 ha consentito la
possibilità per il difensore di attestare la conformità all’originale degli atti
processuali, ivi compresi i provvedimenti giurisdizionali, presenti nel fascicolo
informatico, siano essi nativi digitali ovvero digitalizzati successivamente. Si
ricorda che tale possibilità era stata già prevista nel processo civile telematico
dall’articolo 16 bis, comma 9-bis, del Dl 179/92, convertito dalla legge 221/2012. Il
legislatore, ai fini dell’attestazione di conformità, non prevede nessun distinguo tra
provvedimento nativo digitale o analogico. Il citato articolo 25-bis, al comma 2,
stabilisce che il potere di attestazione di conformità «è esteso, anche per
l’estrazione di copia analogica, agli atti e ai provvedimenti presenti nel fascicolo
informatico, formato dalla segreteria della Commissione tributaria ai sensi
dell’articolo 14 del decreto del Ministro dell’economia e delle finanze 23 dicembre
2013, n. 163».
Quanto, invece, alla modalità di attestazione del provvedimento giurisdizionale
richiamato dall’articolo 369 del Cpc, le regole contenute nell’articolo 25-bis del
Dlgs 546/92 sono applicabili anche all’attestazione di conformità della sentenza
tributaria, presente nel fascicolo informatico di merito, e impugnabile dinanzi alla
Corte di cassazione. A tal proposito, è opportuno rilevare la posizione assunta dalle
Sezioni Unite della Cassazione, secondo la quale la disciplina sopradescritta
riguarda non solo nei ricorsi nativi digitali ma anche le ipotesi nelle quali la
decisione impugnata si trovi in ambiente digitale. Infatti, ai fini del deposito della
decisione in copia autentica, in base all’articolo 369, secondo comma, n. 2., del
Cpc, il difensore può giovarsi del potere di autentica «purché […] attesti trattarsi di
atto contenuto nel fascicolo informatico di ufficio, perché originariamente digitale
ovvero perché digitalizzato dal cancelliere» (Corte di cassazione, Sezioni Unite,
sentenza n. 8312/2019, che richiama la sentenza 22438/2018; nello stesso senso la
recente ordinanza della Cassazione 6651/2020).

14
I soggetti autorizzati ad attestare la sentenza
Chi attesta la conformità della sentenza della Ctr per uso Cassazione? Spesso
l’avvocato cassazionista che firma il ricorso per cassazione non è il difensore che
ha assistito il contribuente nei gradi di merito o non è il difensore domiciliatario al
quale è stata notificata la sentenza. Chi deve procedere all’attestazione di
conformità della sentenza estratta da Sigit: l’avvocato cassazionista o il
professionista domiciliatario/che ha seguito i procedenti gradi di giudizio?
Il potere di attestazione di conformità della sentenza oggetto di impugnativa in
Corte di Cassazione spetta al difensore che instaura il giudizio di legittimità.
Laddove tale difensore sia il medesimo di quello che ha proposto il ricorso di
merito, si fa presente che l’attestazione di conformità del provvedimento impugnato
potrà essere effettuata secondo l’articolo 25-bis del Dlgs 546/92, atteso che il
medesimo difensore accede al fascicolo digitale di merito nell’ambito dei servizi
del Ptt; l’attestazione è esente dal pagamento dei diritti di copia.
Qualora, invece, il difensore in Cassazione risulti essere un soggetto diverso da
quello nominato nel giudizio di merito, l’attestazione di conformità sarà effettuata
dallo stesso, previa registrazione al Sigit e successiva richiesta di accesso
temporaneo al fascicolo processuale telematico mediante il servizio presente nel
Ptt. In sostanza, una volta autorizzata la visione del fascicolo informatico di
secondo grado da parte dell’ufficio di segreteria, il difensore di Cassazione potrà
procedere all’autenticazione della copia della pronuncia oggetto di impugnativa
estratta dal fascicolo digitale senza pagamento dei relativi diritti di copia.
Resta ferma la possibilità per il difensore in Cassazione di richiedere la copia
conforme della sentenza presso il competente ufficio di segreteria, previo
pagamento dei diritti di copia dovuti.

15
Ctp, Ctr e proroga delle udienze da remoto
La proroga al 31 marzo 2022 delle udienze da remoto nel processo tributario,
contenuta nel Dl Milleproroghe, deve intendersi riferita solo alla possibilità di
svolgimento delle udienze a distanza, ovvero anche alla previsione (udienza
mediante trattazione scritta) contenuta nel comma 2 dell’articolo27 Dl 137/2020,
nel caso in cui non sia possibile procedere mediante collegamento da remoto?
L’articolo 27 del Dl 137/2020, convertito dalla legge 17/2000, e successive
modificazioni, è una disposizione di natura emergenziale, diretta a far fronte alle
difficoltà derivanti dalla situazione pandemica ancora in corso.
L’articolo 16, comma 3, del Dl 228/2021 (decreto Milleproroghe 2022) ha
ulteriormente prorogato la citata disciplina emergenziale fino al 31 marzo 2022. La
proroga non riguarda solo la possibilità dei presidenti delle Commissioni tributarie
di autorizzare lo svolgimento delle udienze a distanza, ma anche l’alternativa della
trattazione scritta, qualora, pur essendo stata richiesta la discussione pubblica, non
sia possibile procedere mediante collegamento da remoto. A conferma di tale
interpretazione, si evidenzia che nella relazione illustrativa al decreto si specifica
come l’ordinario svolgimento delle udienze viene derogato ai fini del contenimento
pandemico, con la possibilità di procedere mediante collegamento da remoto o
scambio di note scritte. Pertanto, la proroga non potrebbe che riguardare proprio
l’intera disciplina dell’articolo 27 del Dl 137/2020, convertito dalla legge 17/2020,
comprendente anche l’udienza “cartolare”. Si ricorda, del resto, che nel processo
tributario l’udienza a distanza è prevista, anche al di fuori del contesto
emergenziale, quale ordinaria modalità di celebrazione di tutte le udienze
dall’articolo 16, comma 4, del Dl 119/2018, convertito dalla legge 136/2018, e
successive modificazioni. La concreta attivazione dell’udienza a distanza è
avvenuta con la emanazione del decreto direttoriale dell’11 novembre 2020, che ha
individuato le regole tecnico-operative per lo svolgimento delle udienze pubbliche
o camerali attraverso collegamenti da remoto .

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